Axel Numero 6
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mercoledì 3 febbraio 2016
mercoledì 25 febbraio 2015
Memorie della Terra di Albione
Durante il mio servizio militare, tra maggio e giugno 1997 ho partecipato alla esercitazione "Lion Sword" nel sud dell'Inghilterra, aggregato al 29° Reggimento Logistico Aviotrasportato.
Partecipavo a questa esercitazione per Posti Comando in qualità di addetto ai comandi e operatore computer per il Comando 132^ Brigata Corazzata "Ariete".
In questo periodo, la sera del 4/6/97, per l'esattezza, a Nantes si giocò una partita valevole per il "Torneo di Francia", Italia - Inghilterra. Assistetti alla partita - unico italiano in mezzo ad una marea di soldati e tifosi inglesi - nello "spaccio truppa" della caserma Duke of Gloucester vicino a Cirencester. L'Italia perse 2 a 0, gol di Ian Wright al 26° e raddoppio di Scholes al 43°.
Ovviamente gli sguardi dei colleghi militari inglesi erano tutti per me; e non erano sguardi compassionevoli!
giovedì 2 ottobre 2014
Negazione - Lo Spirito Continua (Frammenti)
sui treni e sulle macchine colmi di gente che non sa dove andare, tra vestiti sporchi di sangue,vite sporche di rabbia…
ricorderemo sempre tutto lucidi guerrieri pronti a vendicare la vita Soli in un abbraccio disperato...
l'unica certezza resta la solitudine
I beati non conoscono il buio
dietro lamenti melodiosi risuona la voce di un vecchio a raccontare il senso di una vita collezione di attimi per le sensazioni piu` belle
Io sorrido sopra il mio odio scoprendomi dentro un amore spesso negato scopro te nel mio corpo
(Foto: from Wikipedia - it.wikipedia.org)
martedì 23 settembre 2014
Massime utilissime al giorno d'oggi
Sono tutte massime che fanno comodo al giorno d'oggi. Da ponderare e riflettere con cura, ma soprattutto da applicare.
P.S. non è importante conoscerne l'autore, dato che sono tutte frasi che si auto-impongono per la loro verità.
- Dobbiamo essere crudeli, dobbiamo esserlo con la coscienza pulita, dobbiamo distruggere in maniera tecnico-scientifica.
- Per noi l'idea del Popolo sta più in alto delle idee dello Stato.
- Una riforma sociale deve fare tre cose: innanzitutto abbattere i muri che separano fra loro i diversi ceti sociali, per aprire ad ognuno la strada dell'ascesa sociale; quindi creare un livello generale di vita tale da garantire un minimo di sopravvivenza anche ai più poveri; infine provvedere affinché tutti possano essere partecipi dei benefici della cultura.
- "Adempimento del dovere" significa: non agire per sé, ma servire alla comunità.
- Fedeltà, dedizione e silenzio devono essere alla base di una grande nazione.
- Il cristianesimo è stata la prima religione a sterminare i suoi avversari in nome dell'amore. Il suo segno è l'intolleranza
- Il forte è più potente quando è solo
- I partiti politici sono aperti al compromesso, le concezioni del mondo no.
- La nazione, o meglio, la razza non consiste nella lingua, ma solo nel sangue.
- La razza umana è diventata forte nella lotta perpetua, e non potrà che perire in una perpetua pace.
- Nei partiti borghesi una sola preoccupazione spinge a costruire nuovi programmi o a "riformare" quelli che già esistono: la preoccupazione per l'esito delle prossime elezioni. Le commissioni si radunano e "rivedono" il vecchio programma come il soldato al fronte cambia la camicia: cioè quando è piena di pidocchi. Nel nuovo programma a ognuno è dato il suo; ma spesso ci si dimentica di una diffusa esigenza popolare. Allora in tutta fretta si inserisce nel programma ciò che ancora vi trova posto, sperando di aver soddisfatto l'esercito dei piccolo borghesi e delle rispettive mogli, e confidando nell'incrollabile stupidità degli elettori.
- Tutto ciò che è grande in questo mondo è frutto di un solo vincitore. I successi riportati da coalizioni portano già in sé il germe di futuri sgretolamenti.
- Oggi, chiunque abbia un po' di familiarità con le scienze naturali non può prendere sul serio la dottrina della Chiesa in quanto tale: ciò che è in contraddizione con le leggi della natura, non può essere di Dio. Io non so niente dell'aldilà e sono tanto onesto da confessarlo.
lunedì 5 maggio 2014
Pallisti e pallonari
"La strada è
quella del dialogo, non quella dell'aut-aut, ma gli stadi debbono essere un
luogo di aggregazione, non di pseudo minacce. E' un problema di tutti. L'immagine
che è stata data al mondo non ci rappresenta. Tutto il Paese va coinvolto, altrimenti
Fifa e Uefa ci fermeranno come successo con gli inglesi. I fischi all'Inno di
Mameli? Ho provato delusione e amarezza". (Cesare Prandelli – da “Televideo
Rai” 05/05/14)
Questo il
virgolettato dell’allenatore della Nazionale, Prandelli dopo i fatti di sabato
sera scorso 03/05/14 in occasione della finale di Coppa Italia.
Alcune mie note a
margine:
"La strada è
quella del dialogo, non quella dell'aut-aut..” ma scherziamo? Dialogare con
Genny ‘à canaglia… no, caro signor Prandelli. La strada è quella della
repressione. Punto e stop. Nessun dialogo, nessun cedimento: ci sono delle regole
di convivenza civile. Esse rimangono valide anche in uno stadio. E ogni
deviazione deve trovare la giusta e sacrosanta repressione. Punto. O si hanno
le palle per intervenire in tal senso o si fa un altro mestiere.
“…gli stadi debbono
essere un luogo di aggregazione, non di pseudo minacce..”: definire ‘pseudo’-minacce
quelle viste l’altra sera in tv è il solito tentativo di smorzamento dei toni
tipico dell’Italia pallonara che non ha il coraggio né le viene attribuita la
responsabilità (morale ma anche oggettiva) per contribuire a debellare
definitivamente il fenomeno degli ultras.
“E' un problema
di tutti.” – ma stiamo scherzando??!! Nella fattispecie è solo un problema del
mondo del calcio e il mondo del calcio se ne deve fare carico.
“L'immagine che è
stata data al mondo non ci rappresenta” – ancora una volta si sminuisce
pensando al problema di immagine piuttosto che a quello di ordine pubblico: ma
scherziamo? Ma ci siamo resi conto del problema che abbiamo davanti?
“Tutto il Paese
va coinvolto, altrimenti Fifa e Uefa ci fermeranno come successo con gli inglesi”
– qui il problema sembra che si fermi il calcio con il suo giro di miliardi e
di fanfaroni che altrimenti dovrebbero cercare un lavoro. E non si pensa che il
problema sia piuttosto il fatto che c’è gente che attorno o dentro agli stadi
si spara, si accoltella, si pesta, che a volte ci scappa il morto (anche tra le Forze dell'Ordine in servizio)… Ma ben vengano allora Fifa e Uefa a porre
fine a questa follia, se nessuno in Italia ha abbastanza palle per farlo.
Quello che nemmeno il presidente del consiglio, seduto in tribuna con la famiglia, non ha ritenuto di fare, magari esercitando un'abuso di autorità (cosa che peraltro gli è abbastanza familiare, dopo tutto). E nemmeno una presa di posizione netta e definita a mezzo twitter, lui che cinguetta su mille e mille cose a raffica...
lunedì 2 dicembre 2013
COMETA ISON SCOMPARE PASSANDO VICINO A SOLE
Brutte notizie per chi aspettava un Natale con la cometa. La tanto attesa Ison non è più riapparsa al termine del suo passaggio molto ravvicinato dietro al Sole.Non c'è più traccia né della coda né del nucleo. Ison, fatta di ghiaccio e detriti, è passata ad appena 1,2 chilometri dalla superficie solare, a una temperatura di circa 5.000 gradi, ed è sparita. Quella che sembrava destinata a diventare la cometa del secolo per la sua grande luminosità, si è dissolta deludendo gli astronomi e non solo. (Televideo RAI 29/11/2013)
Che peccato… ma
pensa che storia a suo modo tenera: una cometina fatta di ghiaccio e detriti
che vuole andare a vedere da vicino il sole, si avvicina troppo e allora si
scioglie scomparendo.
E magari giù
sulla terra i bambini l’aspettavano per Natale, ma a Natale non sarebbe più
arrivata… e allora i bambini capirono che il calore è essenziale per tutto ciò
che brilla e che vuole rimanere vivo, ma a volte di troppo calore si muore. E
allora ripensarono a certe notizie di cronaca che avevano sentito per radio:
delle famiglie povere che vivevano in baracche o vecchie roulotte ai margini
della città, per riscaldarsi durante questi giorni freddissimi avevano acceso
delle vecchie stufette all’interno dei loro tuguri. Ma queste avevano fatto
corto circuito, sviluppando un incendio che aveva portato via tutto: le loro
vite, i loro pochi averi, la loro misera abitazione.
Oppure si ricordarono di quella storia sentita in classe dalla maestra che parlava di quella piccola fiammiferaia che cercava di vendere i propri fiammiferi ai passanti. L’inverno era freddissimo e, per attenuare il freddo che sentiva, accendeva uno per uno i fiammiferi che aveva da vendere. Ed era bello perché le pareva di vedere, nelle fiammelle fioche dei fiammiferi che le scaldavano appena un po’ le mani, delle figure di ballerine che danzavano, muovendosi insieme alla fiammella, oppure delle figure di animali esotici che si muovevano al ritmo sinuoso della fiamma, in mezzo ad una giungla tropicale… e continuò così, fiammifero dopo fiammifero, per sopportare un po’ quel freddo di quella strada di quella città dove nessuno le comprava nemmeno una scatoletta di fiammiferi… finché non arrivò a bruciare l’ultimo fiammifero. Una volta spento, venne colta da una spossatezza infinita e, abbandonatasi seduta sul bordo della strada si addormentò… Ed è addormentata e sorridente che la ritrovarono il mattino dopo alcuni passanti. Ma dormiva un sonno che non le avrebbe mai più permesso di svegliarsi.
Tuto ciò che vuole vivere e brillare ha bisogno di luce, di calore… ma il troppo calore diventa fuoco e fa male, distrugge… Ma anche il freddo fa male e uccide, lentamente, piano piano, senza che tu te en accorga: ti fa addormentare e non ti fa risvegliare mai più. Da tutto questo la lezione da trarre è che è sempre meglio evitare gli estremi opposti e cercare di navigare ben all’interno della corrente del fiume, senza avvicinarsi troppo né ad una sponda né a quell’altra.
giovedì 12 settembre 2013
A sort of homecoming of a homeland's son
Da pochi giorni
ero tornato in caserma dalla missione in Inghilterra, distaccato presso il XXIX
reggimento logistico aviotrasportato, caserma Duke of Gloucester, Cirencester,
Coswold (UK).
Erano stati
giorni divertentissimi ma intensissimi e sfiancanti. Esercitazione “Lion Sword”,
in pratica un addestramento per posti comando in situazioni operative reali e
multinazionali. In pratica era una delle tante “prove generali” per la seconda
guerra del golfo che sarebbe arrivata da lì a qualche anno. Era maggio 1997.
Tornato in caserma a pochi giorni dal congedo, mi restavano soltanto un paio di
giorni di licenza “breve”. Mandai comunque un nullaosta firmato dal mio
capo-ufficio (un tenente colonnello superiore in grado al mio comandante di
battaglione) per una licenza di 3 giorni + 1 giorno di viaggio. Totale 4
giorni. Non avevo nessuna voglia di farmi 6 o 7 ore di treno per restare a casa
poche ore. E per poi tornare in caserma dopo altre 5 o 6 ore di treno. Ne avevo
fatti abbastanza di questi “tour de force”. Portai il nullaosta al furiere, tra
l’altro un “rospo” di qualche scaglione appena arrivato al corpo,
consigliandogli di fare preparare il foglio di licenza senza fare troppi “conti”.
E dopo tutto,
dopo 3 settimane di esercitazione, tra l’altro in compagnia dei parà inglesi,
insomma qualche giorno in più di licenza me li meritavo: avevo passato le
ultime settimane con turni di servizio di 12 ore al giorno, contando soltanto
un pomeriggio “off” durante il quale avevo preso un pullman ed ero andato a
farmi un giretto “in città” insieme al mio collega caporale di Perego (Lecco).
Insomma: malgrado i miei 26 anni ero stanco morto. E sentivo dentro di me che
non stavo rubando niente a nessuno …
Così partii in licenza in treno, cominciando a portare a casa un po’ di roba che avevo nell’armadietto, in vista del congedo. Arrivato a casa trovai i miei genitori in partenza per la China; sarebbero stati via qualche settimana in viaggio turistico e quindi si sarebbero “persi” il mio ritorno a casa. Vabbè, cercai di trarre il meglio dalla situazione e mi capitò di pensare che, a quel punto, potevo prendere in prestito la macchina di mia madre per tornare in caserma e quindi con quella tornare a casa in congedo dritto filato, senza dovere aspettare treni, coincidenze, metropolitane, ecc. ecc. Dopo tutto a loro non serviva, per mio fratello che era a casa c’era l’auto di mio padre, quindi: permesso accordato. Mi diedero il “contentino” forse anche per farsi perdonare la prevista assenza il “gran” giorno del mio ritorno.
Così partii in licenza in treno, cominciando a portare a casa un po’ di roba che avevo nell’armadietto, in vista del congedo. Arrivato a casa trovai i miei genitori in partenza per la China; sarebbero stati via qualche settimana in viaggio turistico e quindi si sarebbero “persi” il mio ritorno a casa. Vabbè, cercai di trarre il meglio dalla situazione e mi capitò di pensare che, a quel punto, potevo prendere in prestito la macchina di mia madre per tornare in caserma e quindi con quella tornare a casa in congedo dritto filato, senza dovere aspettare treni, coincidenze, metropolitane, ecc. ecc. Dopo tutto a loro non serviva, per mio fratello che era a casa c’era l’auto di mio padre, quindi: permesso accordato. Mi diedero il “contentino” forse anche per farsi perdonare la prevista assenza il “gran” giorno del mio ritorno.
Tornai quindi in
caserma con una Fiat Uno 45 Fire, bianca, da “terrorista” – quella macchina che
era già appartenuta a mio nonno e dotata di quel famoso impianto frenante che
una volta mi aveva piantato in asso mentre scendevo dal passo Re de Bus
(Trentino)…
Passai gli ultimi
due o tre giorni di caserma cercando di tenermi occupato. Mi recai addirittura
regolarmente in ufficio, con grande stupore del mio capo-ufficio che oramai si era
rassegnato a dovere fare a meno di me. Un pomeriggio (o una mattina) portarono
me e gli altri congedanti a fare il terzo ed ultimo richiamo dei vaccini
militari al Centro Anti Tumori di Aviano (Pordenone). Mi sono sempre chiesto
perché ci avessero portato lì e non in una struttura militare (che non
mancavano certo). E mi sono sempre chiesto perché, contestualmente al vaccino,
ci fecero anche un prelievo di sangue. Misteri della “naja potente”, della naja
“potentissima”…
Il giorno prima
del mio congedo erano già partiti alcuni dei miei “fra”. Avevamo ascoltato
assieme il silenzio fuori ordinanza e ci eravamo giustamente commossi
abbracciandoci, quella (pen-)ultima notte.
Finalmente arrivò
anche il giorno per me: guardai l’alba. Scattai l’ultima foto del rullino e del
mio servizio di leva al sole che sorgeva sulla caserma e sui due soldati in
giro per il piazzale di pattuglia. Mi ricordo il sole di quella mattina che, malgrado
il grigiore della caserma e del Friuli in generale, spandeva una luce calda,
tra il giallo e l’arancione, con un sole che spingeva i suoi raggi tra le rade
nuvole, raggi che arrivavano a lambire i muri della caserma, la palazzina
comando e che poi entravano prepotentemente e finalmente su tutta la piazza d’armi
e sulla palazzina alloggi truppa. Era un venerdì: il 20 giugno 1997. Mi
risuonava in testa la canzone degli alpini “Monte Nero”, un po’ per assonanza
di date.
Per me era una
sensazione un po’ strana: un sollievo per avere compiuto fino in fondo il mio
dovere di cittadino, di giovane italiano, di soldato ma anche una tristezza,
una malinconia per l’abbandono di un mondo nel quale mi ero, tutto sommato,
trovato abbastanza bene e nel quale, tutto sommato, avevo imparato a “navigare
bene”. Non avevo quindi l’entusiasmo e la sfrenatezza liberatoria dei miei “fra”.
Loro erano raggianti, esuberanti, cantavano a squarciagola dalla gioia le
canzoni dei congedanti. Avrebbero fatto un casino della madonna sul treno del
loro ritorno a casa. Per me era leggermente diverso. Io, tutto sommato, stavo
bene dov’ero; e me ne sarei accorto sempre di più nel corso degli anni.
Presi la mia roba
– tra l’altro ero riuscito a “imboscarmi” quasi tutto il mio corredo. Avevo “lasciato
giù” soltanto gli zaini (che comunque non erano un granché), il cinturone di
poliestere (ma avevo comunque in borsa il cinturone di tela e ottone!) e l’impermeabile
dell’alta uniforme (peccato: era un capo decisamente comodo e versatile, che mi
sarebbe piaciuto tenere) – ritirai il foglio di congedo ed il diploma, caricai il
baule della Uno e partii. Ricordo che feci tutta una tirata da Pordenone fino a
Milano senza neppure fermarmi a bere un caffè. A dire il vero ricordo solo
questo di quel viaggio; e forse un altro elemento: lungo l’autostrada, tra
Verona e Brescia mi pare, sorpassai un pullman di militari. Uno di loro guardò
il tubo tricolore (il tipico tubo portadocumenti dove avevo arrotolato il
foglio di congedo) ed il fazzoletto tricolore da congedante che facevano “bella
mostra” sul vano portaoggetti sotto al parabrezza della mia auto. Il suo
sguardo, due occhi azzurri malinconici sotto ad una capigliatura castana,
denotò invidia, stupore e malinconia nel vedere quei due oggetti tanto “sacri”
per i militari di leva. I nostri sguardi si incrociarono e nella mia testa
ronzò un pensiero: “se vuoi fare cambio, vecchio mio, quando vuoi – anche adesso,
qui, sull’autostrada”.
Non dovetti
nemmeno fermarmi a fare rifornimento perché avevo già fatto il pieno prima di
partire. Così arrivai a casa in poco più di tre ore, considerato il traffico di
una mattinata feriale. Giunsi a casa, parcheggiai la macchina nel garage. Quindi
salii in casa, aprii la porta (avevo con me le mie chiavi) ed entrai. Non dissi
nulla. Entrai in silenzio cercando di non fare troppo rumore, non so per quale
motivo, poi… Forse perché stavo
rientrando in una vita “diversa”, a suo modo “nuova”, quella da civile, e
volevo farlo “in punta di piedi”. Però dal fondo del corridoio si aprì la porta
della camera di mio fratello, che evidentemente aveva sentito la pesante porta
blindata. Mi comparve davanti ancora in pigiama, benché fosse già mezzogiorno e
mezzo, più o meno. Mi guardò senza denotare particolari sentimenti e mi disse: “Ah!
Sei qui? Hai fame? In frigo c’è del prosciutto; poi c’è un sacchetto di
patatine nell’armadio”. Tornò in camera sua e richiuse la porta.
A quel punto
aprii la bocca per mormorare un frase del tipo: “Be’: sono tornato!”. Poi
ripiombai nel silenzio e portai le mie borse in camera mia. Trovai sulla mia
scrivania una cartolina di mia madre con raffigurato un fiore: sul retro l’impronta
delle sue labbra e la scritta “Ben tornato”. Trovai anche un biglietto di mio
padre che mi diceva di presentarmi lunedì mattina al mio nuovo posto di lavoro.
Pensai: ‘neanche una settimana per riprendere fiato e riabituarmi alla vita “civile”’…
Andai in cucina a mangiare (da solo) prosciutto cotto (di cui non vado pazzo) e
patatine, riflettendo sul fatto che, a quell’ora, se fossi stato ancora in
caserma avrei mangiato sicuramente meglio ed in compagnia di qualche
commilitone…
Non ne ho mai
fatto una colpa a mio fratello. Benché lui abbia prestato servizio militare
prima di me e, quando tornò a casa in congedo ebbe tutt’altra accoglienza
rispetto a quanto fu riservato al sottoscritto, lui semplicemente è fatto così:
lo è sempre stato. Pochissimo espansivo, molto conciso nelle sue espressioni e
molto pragmatico nei suoi modi. Ero tornato a casa, stavo bene, c’era del cibo
per me. Tanto bastava per la mia sopravvivenza. Forse io lo apprezzo (e nel
corso degli anni lo apprezzo sempre di più) proprio per questo suo
atteggiamento freddo, distaccato, quasi algido.
Finito di mangiare,
sistemai la cucina, tornai in camera mia e cominciai con calma a sistemare le
mie cose. Feci partire la lavatrice con il mio bucato ed infine mi sedetti sul
balconcino a godermi il sole di giugno fumando una sigaretta. Aspettai per
tutto il pomeriggio la telefonata della mia fidanzata di allora che non arrivò
mai. E non arrivò per tutto il fine settimana. Decisi di non chiamarla io
intenzionalmente, anche per evitare i soliti fastidi che causava a casa sua
ogni mia telefonata. E principalmente per vedere se avesse trovato modo o
voglia di farmi un colpo di telefono. Ma non arrivò nulla ed il telefono rimase
muto.
Il giorno dopo,
sabato, mi recai a quello che sarebbe diventato il mio posto di lavoro per “sperimentare”
ed imparare la strada che avrei dovuto fare. Si trattava di arrivare quasi fino
a Lecco, 46 kilometri, quindi non una cosa da niente. Domenica cercai di
riposare il più possibile malgrado avessi ancora addosso il “ritmo caserma” che
mi imponeva di svegliarmi alle 6:30 anche di domenica.
Controllai un
paio di volte la segreteria telefonica del telefono di casa, senza però trovare
il messaggio che mi sarebbe piaciuto trovarci. Feci anche un paio di
passeggiate in giro per il paese per trovare gli amici.
Lunedì mattina andai al lavoro e tornai a casa a sera. Il giorno dopo, al
mattino, andai al Comune a fare firmare il mio congedo dal Sindaco (o dal suo
delegato). E fu così che la mia esperienza militare ebbe termine anche dal
punto di vista burocratico. Era finita.
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