Stemma di reparto dell' RCST Ariete |
Era appena
iniziato l’autunno del 1996. Prestavo servizio presso il Reparto Comando e
Supporti Tattici Ariete, presso la caserma Monti di Pordenone. A dire il vero
la caserma era in mezzo al nulla, in piena campagna sulla direttrice tra
Pordenone e Aviano/Maniago, ma faceva parte ancora del territorio comunale del
capoluogo friulano.
Noi del 7°
scaglione ’96 eravamo alle prese con l’addestramento avanzato e con le altre
attività di caserma (e non) tipiche del periodo in cui le reclute sono ancora
“fresche”, novelle. Passavamo ore ed ore sulle grave del Cellina/Meduna, in
esercitazione o al poligono di Cao Malnisio. Oppure ancora nelle caserme
dismesse a fare lavori di manutenzione. Il clima era ancora caldo, malgrado i
giorni fossero piuttosto piovosi.
A fine settembre
in Afghanistan i Talebani avevano alla fine conquistato Kabul dopo lungo
assedio, causando una destabilizzazione in tutto il medio-oriente che causò una
ripresa delle attività di migrazione verso l’Europa di genti provenienti da
quelle zone che, per comodità, sceglievano di approdare in Italia attraversando
il Mediterraneo. Ancora una volta l’Italia era alle prese con l’allestimento,
su tutto il territorio nazionale, di centri di accoglienza per questi profughi
che sbarcavano sulle coste de meridione.
Nel frattempo
cominciava ottobre e le piogge si intensificavano. Veniva diramato un’allerta
meteo per la zona friulana e i militari di stanza in Friuli erano in stato di
“allerta protezione civile”. Le licenze “saltavano”, a partire da quelle della
Brigata Alpina Julia a Udine per proseguire poi anche con noi della Brigata Corazzata
Ariete. Eravamo “in prontezza”, il che voleva dire dormire con mimetica ed
anfibi a portata di mano, pronti ad essere dispiegati in zona alluvionata in
circa 20 minuti di tempo. Così si arrivava a sera stanchi morti, bagnati,
infreddoliti dopo la giornata in esercitazione o in attività di manutenzione e
non si sapeva se quella notte si sarebbe dormito fino in fondo. Con il rischio
di doversi rituffare nella pioggia nel malaugurato caso di un evento
alluvionale per prestare soccorso alle popolazioni colpite. Insomma: un periodo
intenso, non c’è che dire…
Occorre sapere
che il militare di leva aveva diritto, ai tempi, ad un cambio lenzuola ogni due
settimane. Ora, successe in quel periodo che il nostro “cambio lenzuola” non fu
più disponibile. Ci disse il maresciallo addetto al casermaggio che le lenzuola
erano finite. Si seppe poi che, in realtà, le lenzuola destinate ai cambi per
tutte le caserme del Friuli (e forse dell’Italia intera) erano state “dirottate”
verso i centri di accoglienza per gli immigrati. Alcuni di noi abitavano in Friuli
o in zone del Veneto vicine alla caserma. Questi potevano raggiungere le loro
abitazioni durante la libera uscita e, con l’occasione, portavano le lenzuola a
casa per lavarle. Gli altri (me compreso) no: l’unica possibilità era portarle
a casa alla prima licenza ma… peccato che le licenze fossero “saltate” per via
dello stato di prontezza-alluvione. Ecco quindi che le lenzuola in caserma non
erano più cambiate e non lo furono più per settimane e settimane. Il loro
colore ovviamente mutava: si passava da un bianco splendente dei primi giorni
ad un bianco sempre più “crema”, sbiadito, per poi confluire in un giallognolo
che virava poi abbastanza decisamente sul giallo per poi acquisire addirittura
delle sfumature grigiastre.
Io non sapevo più
da che parte rigirare la mia federa che ormai aveva perso ogni parenza di
biancore. Alcuni, per ribrezzo, dormivano addirittura indossando la “stupida”,
che nel gergo militare è il berretto da lavoro policromo indossato quando non
si usa il basco nero o il copricapo di specialità. Tutto per non far sì che i
capelli e parte del volto venissero a contatto con quelle federe luride, lerce.
Tra di noi si
scherzava: “sì, d’accordo, ‘ste lenzuola non saranno il massimo dell’igiene, ma
non ti preoccupare, tanto siamo tutti ‘siringati’!” E l’essere “siringati”
voleva dire semplicemente essere stati sottoposti a tutta quella profilassi che
il militare di leva riceveva dagli ufficiali sanitari all’atto dell’arruolamento.
Ma il commento
più azzeccato per descrivere la situazione fu quello che io stesso feci o che
qualcuno mi riferì (non ricordo bene): “Quelli [cioè gli immigrati irregolari]
li fanno dormire con le nostre lenzuola pulite e noi che siamo i ‘figli della
patria’ ci fanno dormire come dei cani!” già: i “figli della patria” che,
dormendo come dei cani, erano lontani da casa, non pagati, occupati durante il
giorno in attività stremanti e comunque pronti, nel cuore della notte, a
saltare fuori dalle brande per fare opera di protezione civile.
Fortunatamente
non fu mai necessario intervenire in soccorso di alluvionati e, lentamente,
anche le lenzuola tornarono bianche nelle caserme, vuoi perché si era potuto
andare in licenza, vuoi perché gli approvvigionamenti di casermaggio erano
ripresi regolarmente.
Nessun commento:
Posta un commento