venerdì 17 maggio 2013

Figli di cani

Stemma di reparto dell' RCST Ariete


Era appena iniziato l’autunno del 1996. Prestavo servizio presso il Reparto Comando e Supporti Tattici Ariete, presso la caserma Monti di Pordenone. A dire il vero la caserma era in mezzo al nulla, in piena campagna sulla direttrice tra Pordenone e Aviano/Maniago, ma faceva parte ancora del territorio comunale del capoluogo friulano.
Noi del 7° scaglione ’96 eravamo alle prese con l’addestramento avanzato e con le altre attività di caserma (e non) tipiche del periodo in cui le reclute sono ancora “fresche”, novelle. Passavamo ore ed ore sulle grave del Cellina/Meduna, in esercitazione o al poligono di Cao Malnisio. Oppure ancora nelle caserme dismesse a fare lavori di manutenzione. Il clima era ancora caldo, malgrado i giorni fossero piuttosto piovosi.
A fine settembre in Afghanistan i Talebani avevano alla fine conquistato Kabul dopo lungo assedio, causando una destabilizzazione in tutto il medio-oriente che causò una ripresa delle attività di migrazione verso l’Europa di genti provenienti da quelle zone che, per comodità, sceglievano di approdare in Italia attraversando il Mediterraneo. Ancora una volta l’Italia era alle prese con l’allestimento, su tutto il territorio nazionale, di centri di accoglienza per questi profughi che sbarcavano sulle coste de meridione.
Nel frattempo cominciava ottobre e le piogge si intensificavano. Veniva diramato un’allerta meteo per la zona friulana e i militari di stanza in Friuli erano in stato di “allerta protezione civile”. Le licenze “saltavano”, a partire da quelle della Brigata Alpina Julia a Udine per proseguire poi anche con noi della Brigata Corazzata Ariete. Eravamo “in prontezza”, il che voleva dire dormire con mimetica ed anfibi a portata di mano, pronti ad essere dispiegati in zona alluvionata in circa 20 minuti di tempo. Così si arrivava a sera stanchi morti, bagnati, infreddoliti dopo la giornata in esercitazione o in attività di manutenzione e non si sapeva se quella notte si sarebbe dormito fino in fondo. Con il rischio di doversi rituffare nella pioggia nel malaugurato caso di un evento alluvionale per prestare soccorso alle popolazioni colpite. Insomma: un periodo intenso, non c’è che dire…
Occorre sapere che il militare di leva aveva diritto, ai tempi, ad un cambio lenzuola ogni due settimane. Ora, successe in quel periodo che il nostro “cambio lenzuola” non fu più disponibile. Ci disse il maresciallo addetto al casermaggio che le lenzuola erano finite. Si seppe poi che, in realtà, le lenzuola destinate ai cambi per tutte le caserme del Friuli (e forse dell’Italia intera) erano state “dirottate” verso i centri di accoglienza per gli immigrati. Alcuni di noi abitavano in Friuli o in zone del Veneto vicine alla caserma. Questi potevano raggiungere le loro abitazioni durante la libera uscita e, con l’occasione, portavano le lenzuola a casa per lavarle. Gli altri (me compreso) no: l’unica possibilità era portarle a casa alla prima licenza ma… peccato che le licenze fossero “saltate” per via dello stato di prontezza-alluvione. Ecco quindi che le lenzuola in caserma non erano più cambiate e non lo furono più per settimane e settimane. Il loro colore ovviamente mutava: si passava da un bianco splendente dei primi giorni ad un bianco sempre più “crema”, sbiadito, per poi confluire in un giallognolo che virava poi abbastanza decisamente sul giallo per poi acquisire addirittura delle sfumature grigiastre.
Io non sapevo più da che parte rigirare la mia federa che ormai aveva perso ogni parenza di biancore. Alcuni, per ribrezzo, dormivano addirittura indossando la “stupida”, che nel gergo militare è il berretto da lavoro policromo indossato quando non si usa il basco nero o il copricapo di specialità. Tutto per non far sì che i capelli e parte del volto venissero a contatto con quelle federe luride, lerce.
Tra di noi si scherzava: “sì, d’accordo, ‘ste lenzuola non saranno il massimo dell’igiene, ma non ti preoccupare, tanto siamo tutti ‘siringati’!” E l’essere “siringati” voleva dire semplicemente essere stati sottoposti a tutta quella profilassi che il militare di leva riceveva dagli ufficiali sanitari all’atto dell’arruolamento.
Ma il commento più azzeccato per descrivere la situazione fu quello che io stesso feci o che qualcuno mi riferì (non ricordo bene): “Quelli [cioè gli immigrati irregolari] li fanno dormire con le nostre lenzuola pulite e noi che siamo i ‘figli della patria’ ci fanno dormire come dei cani!” già: i “figli della patria” che, dormendo come dei cani, erano lontani da casa, non pagati, occupati durante il giorno in attività stremanti e comunque pronti, nel cuore della notte, a saltare fuori dalle brande per fare opera di protezione civile.
Fortunatamente non fu mai necessario intervenire in soccorso di alluvionati e, lentamente, anche le lenzuola tornarono bianche nelle caserme, vuoi perché si era potuto andare in licenza, vuoi perché gli approvvigionamenti di casermaggio erano ripresi regolarmente.
Tempi duri. Giornate grigie che però, con gli occhi di oggi, assumono un mare di colori: dai verdi/marroni delle tute mimetiche, al giallo oro dei bottoni dell’alta uniforme e dell’insegna della brigata, al rosso-blu della specialità carrista.
Stemma della 132^ Brigata Corazzata "Ariete"

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