mercoledì 4 luglio 2007

COS’E’ L’HC ALLEGHE PER NOI ORIUNDI


Mi sono chiesto molte volte quale sia l’origine del mio (e di altri) attaccamento alla squadra dell’Alleghe, nonostante io (come molti altri "tifosi di pianura") sia nato e cresciuto a Milano, anche se da padre nativo di Cencenighe. La domanda può essere altrimenti espressa così: ma perché tu, nato e cresciuto in terra lombarda, che parli il dialetto meneghino meglio dell’Agordino, che le montagne le vedi solo due o tre volte all’anno quando vai in vacanza, perché non tifare Milano, o Varese, o Torino Bulls? Insomma perché proprio l’Alleghe.
Beh iniziamo con il mio caso specifico. Le prime partite di hockey su ghiaccio alle quali ho assistito sono state le partite estive di preparazione al campionato giocate dalle Civette sulla pista del N’Zunaia ancora sprovvista di copertura e che aveva ancora solo la gradinata verso il paese. La tribuna dall’altra parte (verso il torrente) non esisteva ancora. E’ solo grazie all’Alleghe che ho fatto la conoscenza di questo sport così strano, veloce ma per certi versi non privo di una certa eleganza, moderno (per gli equipaggiamenti e l’organizzazione di gioco) ma anche di dimensione domestica, di paese (o di vallata), duro ed affascinante per le sue logiche intrinseche, proprio come le rocce di dolomia.
Ricordo la Coppa Adria giocata contro lo Jesenice (che allora era ancora classificata "formazione jugoslava"), gli incontri contro l’Auronzo ed il Fiemme, partite vivaci e combattute anche se "amichevoli". Insomma, ho fatto la conoscenza di questo meraviglioso sport in riva al lago. Poi d’autunno pattinavo sul ghiaccio del Piranesi, è vero, ma comunque le prime pattinate sul ghiaccio le ho fatte sulla pista naturale di Agordo, quando era ancora la versione "invernale" dei campi da tennis del centro sportivo che si trova sulla strada verso La Valle. Ricordo mio cugino (che giocava nella formazione di Agordo) che mi accompagnava, cercando di insegnarmi a stare in piedi e che, dopo un po’, perdeva la pazienza e cominciava a prendermi in giro perché non riuscivo a tenere dritte le lame e perché continuavo a cadere.Insomma, se non fosse stato per l’Agordino, forse non sarei mai diventato appassionato di "ghiaccio e di lame". D’inverno quando si andava su con la famiglia per la settimana bianca, se facevo il bravo, mi portavano a vedere le partite di campionato dell’Alleghe, sempre in uno N’Zunaia privo di tetto, con la neve che alle volte cadeva sulle nostre teste, così come su quelle dei giocatori, con il vento gelido che scendeva da Col dei Baldi giù lungo il Zunaia fino sulle sponde del lago. Erano serate di freddo "siderale", e noi ragazzini, che eravamo troppo giovani, non potevamo nemmeno trovare un po’ di conforto in un bicchiere di vin brulé. Pensare che una sera ho insistito a farmi portare allo stadio anche se bollivo di febbre. Quella volta sono riuscito a tenere la cosa nascosta ai genitori fino alla fine della partita; poi, una volta a casa, oltre che con la febbre ho dovuto fare i conti anche con l’ira dei miei.
Sempre d’inverno, quando ero in settimana bianca con la famiglia a Voltago (paese di mia nonna), essendomi stufato di sciare, passavo le giornate facendo finta di fare i compiti a casa, ma in realtà giocavo tutto il giorno ad una specie di hockey su ghiaccio insieme ai miei coetanei del paese. Il campo di gioco era una pista ghiacciata ottenuta dalla pista di cemento piano e levigato che serviva durante la bella stagione come balera nel corso delle feste campestri. Il bello era che la struttura era coperta e che quindi si poteva giocare anche se nevicava. Le uniche protezioni che usavamo erano i guanti (più per il freddo che per altro), ed altro non erano se non i guanti da sci. Per il resto erano ore ed ore di combattutissimi incontri tra "noi" e "loro". La stessa cosa che in città si fa con un pallone e due zainetti a fare da porta, così facevamo noi con un paio di pattini, un disco ed un bastone di legno. L’impressione era veramente quella di essere in un altro Paese; ci sentivamo tutti un po’ canadesi, tra neve, freddo, conifere e hockey era proprio come essere là!E intanto la passione cresceva e, quando tornavo a Milano passavo i pomeriggi del sabato a pattinare al Piranesi, per non perdere il "piede" e per cercare qualcosa che mi ricordasse le Dolomiti anche in pieno centro città. Ma certamente non era la stessa cosa: vedere il ghiaccio e le lame non faceva altro che farmi aumentare la nostalgia per le "mie" montagne. Poi, benché il Piranesi fosse una struttura in stile "liberty" a suo modo bella e pittoresca, attorno alla pista non c’erano quei bei panorami che si potevano vedere da Alleghe o da Voltago. C’erano solo i muri e le travi in metallo a vista decorate con motivi vagamente floreali. Sopra la testa non c’era un bel cielo azzurro ma la cupola della pista. La cosa positiva era che, dato che non me la cavavo male sui pattini, trovavo sempre qualche signorina che mi chiedeva se potevo insegnarle ad andare all’indietro… poi le offrivo una cioccolata al bar e poi… ma questi sono altri discorsi…
In seguito, una volta che sono cresciuto e che ho cominciato a potere uscire anche la sera da solo, sono arrivate le prime partite viste a Milano tra il Saima (o anche i Devils) e le mie amate Civette. E lì è stato un trauma, le prime volte: ero abituato a vedere le partite di hockey nel contesto amichevole del De Toni, dove tutti tifavano per l’Alleghe, dove non c’erano problemi di ordine pubblico (gli unici agenti di P.S. erano due o tre carabinieri occupati più che altro a bere vin brulé e a guardare le belle ragazze locali). A Milano invece la tifoseria era più "cattiva", in gran parte mutuata dal tifo calcistico. Il clima del Piranesi era di vera e propria bolgia (essendo al chiuso i rumori dei tamburi e le grida rimbombavano in tutta la struttura). Poi c’era del tifo vero e proprio, non quell’incitamento più genuino, più scanzonato del De Toni. Gli arbitri erano insultati, non presi in giro con tono scherzoso… Va be’, comunque bisognava esserci anche se la quasi totalità dei presenti ti guardavano male perché indossavi la sciarpa o il cappellino bianco rosso. E anche la polizia ti guardava un po’ di traverso perché se eri lì con la sciarpa ed il cappellino di colore diverso, sicuramente eri lì in cerca di rogne.
Poi le partite si sono spostate al PalaCandy (ora PalaAgorà), ma le cose non sono cambiate un granché. Forse i controlli di polizia sono diventati più stretti, ma la sostanza non cambia. Ricordo che, una sera sono riuscito ad avere i biglietti gratis grazie ad un collega di mio padre (anche lui agordino). Quindi siamo andati tutti e tre a vedere Devils – Alleghe. Mio padre ed il suo collega stavano cercando un parcheggio, io sono andato avanti per occupare i posti. Stavo per entrare bello tranquillo allo stadio con il mio biglietto e il mio cappellino biancorosso quando mi ferma un poliziotto e mi chiede di aprire lo zaino, il giubbotto ed inizia a frugarmi dappertutto. Io sono lì che mi "becco la perquisa" davanti a tutti quando arriva mio padre ed il suo amico. Vedendomi così trattato dal poliziotto mio padre urla subito: "Ale, cosa c***o hai combinato?". Il poliziotto si volta verso mio padre e l’amico e vede due signori distinti in giacca e cravatta (erano appena usciti dall’ufficio) e gli chiede: "Il ragazzo è con voi?". Alla risposta affermativa, il poliziotto mi lascia subito passare… Sono costretto a vedere la partita in tribuna distinti, con mio padre ed il collega, seduto affianco a Fabio Capello, che ai tempi era il General Manager della Polisportiva Mediolanum di Berlusconi (della quale facevano parte i Devils). Che sofferenza dovere mantenere la calma e non potere urlare e fare il tifo per tutta la partita!!! La cosa bella è che, al termine della gara, l’amico di mio padre, che aveva dei conoscenti nello spogliatoio delle civette, è riuscito a procurarmi come omaggio il bastone di Rausse Erroll, che conservo ancora gelosamente.Ma cos’è che lega me e parecchi altri oriundi all’hockey e alla squadra di Alleghe? Ho provato a cercare un senso di ciò nel sentimento di attaccamento alla vallata che rimane con gli emigrati e gli oriundi anche dopo anni e anni. Ora l'hockey è una delle poche discipline in cui nel bellunese abbiamo una squadra e/o comunque degli atleti di serie A. Può essere quindi considerato genere di "esportazione" o elemento da "vetrina" in quanto esprime una punta di eccellenza con la quale ci si può confrontare con altre città – e che città! - ed altri territori. Inoltre, data la forte connotazione "di paese" della squadra, l’Alleghe hockey può essere considerata una delle ultime squadre in Italia che rappresenta veramente la collettività del paese Alleghe e dei paesi immediatamente limitrofi. Insomma, sono i ragazzi del posto l’anima viva di questa squadra, benché i rinforzi stranieri ci siano e siano parte integrante e preziosissima della compagine. Quindi, a differenza di altre squadre italiane, l’Alleghe rappresenta veramente la "nostra" vallata, i "nostri" paesi, il "nostro" posto di origine.Ora, l’emigrante è una persona che lascia il suo paese di origine generalmente perché in esso non riesce a trovare il modo di realizzarsi, in primo luogo in senso economico ma anche, in senso più lato, sul piano professionale e quindi sociale. L’emigrante se ne va per il mondo con un senso di rimpianto misto a voglia di riscatto; in ogni caso il ricordo delle sue origini non lo lascerà mai. Anche se non ritornerà più nella sua valle, nella sua frazione, troverà sempre spunti per ritornare ad esse anche solo con il ricordo oppure con altri strumenti. Un esempio può essere visto nell’Associazione "Bellunesi nel Mondo" che raccoglie tutti gli emigrati del bellunese da un capo all’altro della terra. Il tifo per una squadra di hockey, che, dato che milita in massima serie, viene considerato "prodotto di eccellenza" della valle, può costituire un altro strumento per accentuare ancora una volta questo senso di appartenenza. Anche se perfettamente inserito nella società che lo ha accolto, l’emigrante si sentirà più o meno sempre una parte diversa nel nuovo contesto, se non addirittura "estranea". Quindi ogni occasione può essere propizia per ribadire la sua diversità. Diversità che può partire dal cognome, continuare in altri usi famigliari che si mantengono attraverso il tempo e che può arrivare ad essere identificata anche con il tifo per una squadra fuori dal contesto della società in cui si vive. La stessa cosa può accadere nella psiche dell’oriundo, in maniera più o meno accentuata. Questo spiega la presenza di oriundi bellunesi che sono a Milano da una vita ma che non tifano la squadra di Milano, preferendo la squadra del loro paese di origine.La squadra di hockey quindi come momento di diversificazione e come elemento di eccellenza di cui vantarsi. Parecchi bellunesi di origine, per esempio, quando hanno l’occasione di passare un periodo di vacanza con amici "di città" nell’Agordino, amano portare gli ospiti ad una partita dell’Alleghe, facendo così conoscere questo "nuovo" sport agli amici e, nel frattempo, sottolineando l’elemento di eccellenza costituito dalla squadra locale.
Quando poi si è a Milano (per esempio), l’interesse per l’hockey su ghiaccio può costituire da solo un elemento di diversificazione rispetto ad un contesto cittadino più legato a sport meno "invernali".Ma l’emigrante è anche una persona che, per certi versi, ha perso. E’ dovuto andare via dalla valle, ripiegare in altri luoghi del mondo alla ricerca del pane. Ha quindi, dentro di sé, una grande voglia di rivalsa che può esprimersi sia nei confronti del contesto di origine, che nei confronti del contesto di destinazione. E’ in quest’ultimo senso che acquisisce un’importanza speciale per noi oriundi o emigrati, potere andare a vedere l’Alleghe a Milano sperando che la squadra possa esprimersi quanto meno allo stesso livello della squadra cittadina. La speranza è quella che, all’uscita del palaghiaccio, si sentano i commenti dei "cittadini" che possano suonare pressappoco così: "però, ‘sti bellunesi!". Ed è con questa speranza che noi "bellunesi di pianura" continuiamo e continueremo sempre a tifare Alleghe.Così, da queste righe che si può intuire un elemento di importanza dell’hockey agordino che travalica la Val Cordevole, esce dalla provincia di Belluno e arriva un po’ ovunque nel mondo, perché un po’ ovunque nel mondo si trovano dei bellunesi. E’ importantissimo che i nostri compaesani che sono potuti rimanere in valle comprendano che l’hockey è ormai diventato elemento di tradizione (dopo più di 70 anni) che va mantenuto, oltre che per dare sbocchi sportivi alla gioventù locale, anche per gettare un ponte simbolico con noi che siamo "di là del Mis".
Non mollare mai!

(14 novembre 2005)

2 commenti:

Izko ha detto...

ciao mister come va il faccione?

eheh.. mi sembra di averla già letta da qualche parte questa lunga storia bellunese...il sito dell'alleghe ti dice qualcosa???

a Milano solo la Saima

Axel ha detto...

mynkya, ma il portierone legge!!! e legge pure i siti delle altre squadre!!! incredibbole

cmq sì, hai ragione... ho ripubblicato sul mio blog un mio scritto già apparso sul sito del mitikko HC Alleghe

Il faccione va meglio, anche se non sono ancora al 100%.