lunedì 21 febbraio 2011

CLOUT SHOOTING IN BRIANZA




Comincia alle 6,15 una domenica piovosa di febbraio. Esco di casa e piove e mi dico "Insomma: faccio una gara out-door all'anno e deve piovere!" Ma si sa, la nuvoletta dell'impiegato è sempre in agguato. Si affaccia un po' di malumore. Però poi penso a tutti gli arcieri della storia che hanno dovuto sopportare anche peggio, e il malumore si affievolisce. Pensa a quanti padri hanno dovuto lasciare casa, con arco e frecce in spalla, per andare a combattere; pensa a quanti arcieri nella storia hanno dovuto lasciare moglie e figli a casa nel calduccio dei loro letti, anche solo per andare ai "butts" (per andare ad allenarsi ai paglioni) perché così stabiliva l'implacabile legge del re!
Mi metto alla guida e scopro che, andando in su la pioggia diminuisce di intensità. Meno male: pensa fargli prendere una giornata di pioggia al mio arco in legno, alle mie povere frecce in legno anch'esse e con impennaggio naturale.

Arrivo a destinazione, parcheggio e mi accolgono subito gli odori di erba che fermenta. Poco distante, nel parcheggio della cascina, due cumuli di erba e truciolati di legno fumano tranquilli sotto l'umidità e l'odore che si spande non è nauseante, ma placido e rassicurante come l'odore dei fienili dove giocavo con i cugini in montagna quando ero ragazzino.
I padroni di casa mi accolgono con squisita cortesia, malgrado sia arrivato con mezz'ora buona di anticipo. Subito mi fanno il caffè e mi offrono la "seconda colazione" (la prima l'avevo già mangiata a casa). La vecchia cascina con annesso parco è splendida, anche non essendo certo una cascina ristrutturata ad hoc, di quelle per intenderci dove vai a fare agriturismo... però è veramente affascinante.

Poco per volta arrivano gli altri arcieri. Saremo una quindicina in tutto. La citazione shakespeariana è d'obbligo: "Noi pochi, noi felici pochi; noi manipolo di fratelli", scriveva il bardo di Stratford a proposito della battaglia di Agincourt. E qui altrettanti pochi, felici pochi, si accingono a caricare il "campo di battaglia" di Monticello Brianza, nel contesto pacifico e amichevole di una competizione di tiro alla bandiera, o tiro "clout", giusto per stare in ambito inglese. Si tratta di una gara di arco che serviva ai tempi per allenarsi al tiro a parabola che sarebbe poi stato usato in battaglia. Il bersaglio non è immediatamente visibile dalla linea di tiro, ma si tratta di cerchi concentrici disegnati sul terreno. Diametro massimo 15 metri, suddiviso poi ogni metro e mezzo in 5 zone di punteggio, dal 1 (anello esterno) al 5 (cerchio più interno). Al centro di tutto è posto un paletto con una bandiera che segnala il centro del bersaglio e che risulta essere l'unica cosa visibile dalla linea di tiro. Linea che, a seconda delle divisioni e delle classi è posta a 125, 165 e 185 metri. Da lì vedi la bandiera (o straccetto, appunto “clout” in inglese, da qui il nome) che sembra farti “cù-cù! Il bersaglio è qui!”
E allora tu tendi il tuo arco: lo devi tendere al massimo, devi usare ogni decimo di pollice per riuscire a mandare laggiù la tua freccia. E senti così il tuo arco di legno che si piega tutto, in tutte le sue fibre, digrignando i denti e scricchiolando come stai facendo tu che tendi piegando il ginocchio per riuscire a chinare all’indietro di 45% il tuo busto mantenendo la “T” che ti garantisce l’allungo e l’allineamento. Poi rilasci e la freccia si invola verso il cielo, rapida come il pensiero, libera come il vento e…. e proprio il vento devi tenere in considerazione. Cavolo! Non ci avevo pensato, non avevo visto che laggiù la bandierina sventola un po’. E non avevo neanche considerato che i refoli d’aria cambiano a seconda dell’altezza dal suolo… insomma, correggi il tiro con la seconda freccia. Tendi ancora, tieni d’occhio la bandiera da sotto l’ascella del braccio che impugna l’arco, un po’ sulla sinistra dovrebbe andare meglio. Ma! Ma la freccia non arriva. Il lego dell’arco risente dell’umidità in maniera schifosa. La gittata, il “cast”, come dicono gli inglesi, è compromessa. Non ci arrivo. Prime due volée a zero, benché tutto sommato ben raggruppate. Ed allora il Giudice di Gara prende la decisione, considerando la mia attrezzatura e sentiti tutti gli altri arcieri che acconsentono unanimi (grazie!), di consentirmi di tirare da 125 metri, invece che da 165. Io dico loro che non è necessario, che anche se finisco a zero, l’importante è “giocare” e cercare di tirare bene. Ma loro insistono e allora così sia. Certo che se fosse stata una giornata di sole pieno, con aria secca a senza umidità, il mio “legno” avrebbe risposto in maniera del tutto differente. Comunque sia, il legno è legno: è vivo e bisogna farci i conti. D’altro canto anche le mie chitarre, quando il tempo è umido, suonano in modo differente…
Da lì in poi comincio a prendere anche io. Fino alla fine della gara ne metterò fuori solo due, tutte le altre dentro. Addirittura una freccia in 5^ volée fa il solletico alla bandiera e fa la barba al paletto che la sostiene andando a conficcarsi a pochi centimetri dal centro esatto del bersaglio: 5 punti! La fatica di tendere il legno allo stremo si fa sentire. Meno male che la linea di tiro è provvista di posto ristoro permanente, con crostate, girelle, patatine, caffè, bevande fresche, il tutto condito dalla squisita gentilezza degli organizzatori. Che bello! Chissà se anche gli arcieri medievali in battaglia potevano usufruire degli stessi comfort! Dubito!

Durante tutta la gara il mio pensiero torna sempre all’indiscutibile fascino dell’evo antico, quando arco e frecce erano terribili strumenti in mano agli arcieri che grazie ad essi si garantivano la sopravvivenza personale e della loro patria. Le frecce continuano a volare verso il cielo per tutta la mattina, accompagnate dai rumori cioccanti – tutti diversi l’uno dall’altro – degli archi che si chiudono. Rumori di pulegge e carrucole, rumori metallici dei flettenti degli archi olimpici, i rumori più caldi e più furtivi degli archi tradizionali. E le frecce volano nel cielo grigio sempre laggiù verso quella bandierina gialla che sventola sempre in maniera diversa da volée a volée, indicando che il vento è cambiato e che quindi gli arcieri dovranno ancora diventare matti per ri-calibrare il loro tiro.

Alla fine ci si trova davanti ad un piatto di cannelloni squisiti, accompagnati da un bel piatto di salumi, con cipolline e giardiniere appetitosissime. Poi c’è la premiazione, momento per concludere tutti insieme una mezza giornata veramente entusiasmante, facendoci i complimenti a vicenda. Ce li siamo meritati. Tutti: nessuno escluso: dall’organizzazione, al Giudice di gara, alla pattuglia di arcieri venuti su addirittura da Padova; insomma veramente tutti!

Ritorno alla mia famiglia ascoltando musica di cornamusa a tutto volume sulla mai autoradio. Arrivo a casa e la festa continua con moglie e figlie festanti che celebrano il “ritorno del guerriero”!

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